(Adnkronos) – Novak Djokovic non smette di stupire. Il tennista 38enne, ex numero 1 al mondo, continua a macinare record non curante dell’età che passa e dei giovani avversari che gli contendono la scena. Gli Us Open sono stati l’ultimo palcoscenico della sua incredibile carriera, la semifinale raggiunta battendo l’idolo di casa Taylor Fritz. Il serbo è stato il più giovane a raggiungere le semifinali in 4 Slam e da ieri è anche il più anziano ad avere tagliato questo traguardo. Venerdì affronterà il 22enne Carlos Alcaraz. “Nello sport moderno competere a lungo è estremamente complicato; farlo a livelli eccellenti e quando si è più vicini ai 40 che ai 35, come Novak Djokovic, lo è ancora di più – spiega all’Adnkronos Salute Andrea Bernetti, medico fisiatra e segretario generale della Simfer (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa) – In questi casi non è corretto parlare di fortuna, elemento che ovviamente può influenzare ogni aspetto della vita di ciascuno, anche nello sport, ma soprattutto di preparazione, costanza, forza di volontà e capacità nella selezione del team”. “Infatti – prosegue lo specialista – per eccellere negli anni in uno sport è richiesta un’attenzione maniacale ad ogni aspetto della vita dell’atleta, a partire da quello che accade al di fuori del campo da tennis, con molta attenzione allo stile di vita, inteso in modo omnicomprensivo: alimentazione, sonno, gestione dello stress. Questi sono solo alcuni degli aspetti cardine della vita di un atleta moderno, che sono in grado di produrre effetti epigenetici coinvolti in modo chiaro nel determinare, ad esempio, le capacità atletiche e la suscettibilità agli infortuni. E’ noto, infatti, come la regolazione epigenetica è coinvolta nella risposta fisiologica all’allenamento fisico e potrebbe influenzare la predisposizione a infortuni o malattie. L’aspetto relativo agli infortuni subiti nel corso della carriera, così come la gravità degli stessi, è determinante – osserva il medico fisiatra – Infatti, se da un lato il tennis ha il vantaggio di essere uno sport senza traumatismi da contatto, dall’altro sicuramente comporta un sovraccarico non solo degli arti superiori, ma anche degli arti inferiori, quindi la capacità e la bravura dell’atleta d’élite sono sicuramente correlate alla gestione di eventuali infortuni in termini non solo di trattamento, ma anche, se non soprattutto, di prevenzione”. “Nel passato – prosegue il presidente Simfer – quando la durata della carriera di un atleta ad alto livello era mediamente inferiore, probabilmente c’era meno attenzione a questi particolari e sicuramente si avevano a disposizione meno dati ed evidenze scientifiche. Basti considerare ad esempio l’età del ritiro di campioni del calibro di Sampras e Beker, entrambi ritiratisi a 31 anni. Inoltre, per fare un paragone con il calcio, una ricerca condotta in Inghilterra su oltre 4.000 calciatori professionisti in oltre 40 anni ha mostrato come la durata della carriera dei calciatori è influenzata anche dal loro livello di gioco: i giocatori delle massime divisioni hanno carriere più lunghe e riescono a mantenere un livello elevato più a lungo rispetto ai giocatori delle serie inferiori, probabilmente anche considerando le risorse a disposizione e il livello di professionismo”, analizza Bernetti. “Quindi, avere un team completo e affidabile, che permetta una gestione dentro e fuori dal campo a 360°, è sicuramente fondamentale, ma a questo deve essere abbinata una grande forza mentale che garantisca costanza e resilienza. Aspetti che Djokovic ha più volte dimostrato nel corso della sua carriera”, conclude l’esperto. —sportwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Djokovic macina record, medico-fisiatra: “Dna da numero 1, costanza e resilienza”
© Riproduzione riservata