ROSIGNANO – Lorenzo Razzauti, powerlifter originario di Rosignano Solvay, ha conquistato per la seconda volta il titolo di campione europeo nella categoria Master I, riservata agli atleti tra i 40 e i 49 anni. La sua storia è segnata da determinazione e resilienza. Si è avvicinato al powerlifting nel 2013 ha iniziato a competere, raggiungendo nel 2015 il suo miglior risultato con un quinto posto.
Tuttavia, un grave infortunio alla schiena nel 2016 sembrava aver compromesso la sua carriera sportiva. Dopo anni di riabilitazione, nel 2019 è tornato a gareggiare, concentrandosi inizialmente sulla panca piana. Nel 2022 ha ripreso la competizione completa, vincendo medaglie nazionali e ottenendo la convocazione in nazionale.
Nel maggio 2024, ai Campionati Europei Master I di Hamm, in Lussemburgo, ha conquistato il primo posto. In quell’occasione ha stabilito nuovi record personali: 260 kg in squat, 170 kg in panca e 300 kg in stacco. Prossimo obiettivo è il Campionato Italiano di powerlifting, previsto per luglio. Il palmarès di Razzauti testimonia una carriera di costante crescita e successi. Tra i suoi migliori risultati figurano un totale di 730 kg raggiunto agli Europei 2024, un record nello squat di 267,5 kg, una panca da 172,5 kg e uno stacco da 300 kg. Ha ottenuto numerosi titoli nazionali, tra cui la vittoria alla Coppa Italia 2024 e il Campionato Italiano Assoluto di Stacco.
Il percorso e gli inizi nel powerlifting
“Nel 2012, mentre mi allenavo in palestra, mi resi conto che l’allenamento tradizionale con i pesi non mi soddisfaceva pienamente. Provenendo da sport da ring, ero abituato a concentrarmi sulla performance, ma in palestra non riuscivo a trovare un metodo concreto per misurare i miei miglioramenti oltre l’aspetto estetico –
si racconta – Così iniziai a esplorare alternative e scoprii il powerlifting attraverso i primi forum online. In Italia il movimento esisteva già, anche se era meno diffuso di oggi. Nei forum si discuteva di metodologie di allenamento basate sui sistemi sovietici per la pesistica, analizzando parametri specifici e strategie di miglioramento. Il concetto mi affascinava e mi coinvolse profondamente. Decisi di allenarmi da autodidatta, studiando e applicando ciò che trovavo online. Quando scoprii l’esistenza della Federazione Italiana di Powerlifting, decisi con un amico di partecipare a una gara, inizialmente solo di stacco da terra. L’ambiente mi conquistò: incontrai altri appassionati e capii di aver trovato il mio posto.”
“Fu in quel contesto che conobbi Ivano Giusti, una figura chiave del powerlifting italiano e tra i fondatori della federazione. Giusti divenne il mio allenatore, la mia guida sportiva, avviandomi seriamente a questa disciplina – continua – Con il tempo, spinto dalla passione, iniziai a partecipare alle prime competizioni. Fino al 2016 non mi consideravo un atleta particolarmente dotato, ma ero entusiasta: trovavo senso nell’allenamento, vedevo progressi concreti e apprezzavo l’aspetto di squadra. All’epoca il powerlifting attrezzato era la norma: una variante che prevedeva corpetti e ginocchiere speciali per sostenere carichi maggiori, ma con una tecnica molto più complessa. Oggi è meno diffuso, ma allora era la modalità principale, dura ed estrema”.
Le prime competizioni furono difficili, “l’allenamento era intenso e doloroso, ma con il tempo presi confidenza – si confida – Nel 2013 raggiunsi il mio miglior risultato fino a quel momento: quinto posto in una gara nazionale. Poi, nel 2016, arrivò un infortunio. Anni di stop, ma nel 2019 decisi di riprendere: il percorso riprese, più determinato che mai”.
Come si affronta la caduta quando tutto sembra perduto
“Nel 2016 affrontai una delle sfide più dure della mia carriera: un infortunio che mi colpì nel momento peggiore, proprio quando stavo per ricevere la mia prima convocazione nazionale. Fu un duro colpo... Per quasi due anni, la mia lotta non fu solo contro la riabilitazione fisica, ma anche contro la paura di aver perso tutto. Avevo subito un infortunio alla schiena e all’epoca la fisioterapia attiva, così come l’attenzione su questi problemi, non erano diffuse come oggi. La strada per il recupero era incerta ma mi rimisi al lavoro con determinazione, cercando di studiare da solo e trovando un fisioterapista che mi aiutò enormemente. Mi appassionai alla riabilitazione sviluppata da Stuart McGill, un fisioterapista canadese esperto nel trattamento di pesisti e giocatori di football. Seguendo i suoi studi, iniziai a costruire il mio ritorno, giorno dopo giorno, centimetro dopo centimetro. La vera forza arrivò anche dalle persone che mi circondavano
– ricorda con piacere – il mio allenatore, mio fratello, gli amici che non smisero mai di credere in me. Fu un supporto fondamentale. Ma più di tutto, sentivo il bisogno di restituire qualcosa. Volevo condividere la mia esperienza con chi aveva difficoltà, con chi non credeva in sé stesso. Perché come in ogni sport agonistico, il mio percorso era stato molto più di una competizione: era un processo di crescita, di automiglioramento e, soprattutto, di rivalsa personale. Questo sport, e in particolare la guida del mio allenatore, mi hanno insegnato che spesso i limiti più grandi sono quelli che ci imponiamo da soli. Ho scoperto che, lavorando davvero, si può competere anche con chi parte avvantaggiato.
Non volevo cadere nel banale “se vuoi puoi”, ma sono certo che, con un lavoro intelligente e una mentalità solida, i progressi arrivano. La componente mentale dove ci si confronta con pesi estremi, è gran parte del lavoro. È fondamentale. La sensazione più gratificante è proprio il modo in cui questo sport ti costringe a guardarti dentro, a scavare in profondità, perché senza quella ricerca, non si va da nessuna parte”.
“Ogni volta che salgo sulla pedana, provo paura – si confessa – Chi dice il contrario, mente. Nel momento decisivo però, bisogna azzerare tutto. Non si tratta di esaltazione, ma di una sorta di presenza totale. In quell’istante, il mondo si ferma: bisogna riuscire a svuotare la mente, eliminare la paura, i pensieri, persino le parole. Devi trovare i tuoi automatismi, i tuoi gesti, perché quando sei al limite, la sola motivazione non basta più. Devi essere pronto. Questa è una delle cose più importanti per me. Non è solo una questione di adrenalina: quando ti trovi davanti a un bilanciere che pesa tre o quattro volte il tuo peso, la differenza la fa la padronanza di te stesso. È la disciplina interiore che, alla fine, ti permette di piegare l’acciaio”.
Quanto conta la mente quando si affrontano carichi estremi?
“La componente mentale è preponderante nel powerlifting, soprattutto quando si affrontano pesi estremi. La paura è inevitabile, ma la vera differenza la fa la lucidità. Lavoro molto sull’autodisciplina, sull’ordine e sulla routine per non lasciare spazio all’improvvisazione. La chiave è la padronanza di sé, la capacità di far prevalere la disciplina interiore fino al punto di ‘piegare l’acciaio’, trasformando la paura in una presenza totale e concentrata”.
Prima di ogni gara hai qualche rituale che segui?
“Sì, ho delle piccole scaramanzie, anche se non mi definirei una persona particolarmente superstiziosa. In particolare, ho un rituale legato alla maglia che uso in gara. Quando ho iniziato a competere, nel 2014 abbiamo fondato la nostra squadra, la Lions Powerlifting Livorno. Da allora, abbiamo realizzato diverse maglie nel corso del tempo, ma io conservo ancora la mia prima maglia, con il mio nome scritto dietro e il logo della squadra. La indosso sempre per ogni gara nazionale in Italia dal 2013. A livello internazionale è obbligatorio indossare quella della nazionale, ma per tutte le competizioni italiane uso sempre la mia vecchia maglia, e non l’ho mai indossata al di fuori della pedana di gara.E poi, è anche una questione di appartenenza: da buon livornese, il colore amaranto della maglia della squadra della mia città ha un significato speciale per me”.
Qual è stata la competizione più difficile della carriera e perché?
“La più difficile emotivamente è stata il mio primo europeo l’anno scorso. Mi trovavo esattamente nel luogo che avevo sempre sognato, ma viverlo da protagonista si è rivelato molto diverso. Inizialmente ho rischiato di non rientrare nel peso, generando una forte ansia. Lo stress accumulato è esploso nella prima prova di squat, la mia prima in assoluto. Ricordo vividamente l’uscita dal tunnel verso la pedana, fasciato e con il mio allenatore che mi incitava. Improvvisamente ero sotto le luci, davanti al pubblico, alla regia e ai giudici, nello stesso contesto in cui avevo visto gareggiare i miei idoli solo in televisione. Nonostante di solito regga bene la pressione, in quel momento lo stomaco si è stretto e le ginocchia hanno ceduto. La prima alzata non è stata affatto semplice. Tuttavia, ho poi disputato una buona gara, stabilendo il mio primato personale nello stacco. Al termine della competizione, la gioia è stata tale da farmi scoppiare in lacrime, un traguardo inseguito per dodici anni.Invece, la seconda competizione europea, quella appena conclusa, è stata la più dura dal punto di vista mentale. Mi sono ritrovato a dover difendere il titolo, con tutta la pressione che ciò comporta, gestendo contemporaneamente il mio lavoro, la palestra e i miei atleti. La situazione era diversa rispetto a quando ero uno sfidante sconosciuto, senza nulla da perdere. Da campione in carica, tutti gli occhi erano puntati su di me, non potevo più essere la sorpresa, dovevo confermarmi, e confermarsi è molto più difficile che vincere una volta sola. Il taglio del peso è stato particolarmente duro e ho dovuto affrontare giorni complicati sia fisicamente che mentalmente. Inoltre, avevo un avversario fortissimo, che giocava in casa (Repubblica Ceca), un atleta ceco che era stato in testa fino all’ultimo. Sono riuscito a superarlo solo nello stacco finale, di strettissima misura. Dopo la gara, ci siamo abbracciati e abbiamo festeggiato, ma per tre ore ci siamo dati battaglia duramente, con sguardi infuocati nel backstage e un testa a testa continuo. Alla fine, pur esausti, c’è stato un grande abbraccio. Entrambi siamo atleti master con più di quarant’anni”.
Quali sono i prossimi obiettivi sportivi?
“Continuare a crescere, migliorare e dimostrare che il punto di partenza non definisce necessariamente quello di arrivo. Certo, mi piacerebbe partecipare a un mondiale, sia master che open, dove potrei competere anche con atleti più giovani. So che sarebbe molto difficile, ma già solo l’idea di riuscire a “lanciare il cappello” in un contesto così competitivo e arrivarci rappresenterebbe per me una grandissima conquista. Tuttavia, più che titoli o medaglie, ciò che mi interessa davvero è rimanere nel processo, nonostante l’età e le difficoltà, cercando di restare competitivo e “affamato”. Ma soprattutto, voglio trasmettere qualcosa a chi mi guarda e mi segue. Vorrei che le persone che magari partono con meno certezze, specialmente i più giovani e con meno mezzi, potessero vedere in me la prova che con il lavoro giusto si possono ottenere risultati significativi. Non voglio fare il motivatore con frasi banali, perché i social ne sono pieni e spesso mi fanno sorridere. Preferisco dimostrare questo con i fatti concreti.
Avendo vissuto sulla mia pelle un percorso di riscatto personale, di ripresa dopo un momento buio e avendo trovato in questo sport un modo per lasciarmi alle spalle una gioventù un po’ più turbolenta, spero che la mia esperienza possa servire ad altre persone, soprattutto giovani, a capire che molto spesso il proprio destino è nelle proprie mani, anche quando sembra impossibile”.
L’importanza del supporto delle persone care in una competizione?
“Ci tengo molto a ringraziare alcune persone che sono state fondamentali per la mia vittoria all’Europeo. In primo luogo, mio fratello Federico Razzauti e la sua compagna, che mi hanno accompagnato fino in Repubblica Ceca e mi hanno supportato in ogni momento. Poi, la mia ragazza Silvia e il mio allievo Lorenzo, che ha svolto il ruolo di daffasciatore (colui che applica le fasciature) e mi è stato vicino con grande dedizione.Infine, voglio ringraziare tutto il team della nazionale italiana, che mi ha fornito un supporto continuo, e il mio allenatore storico, Ivano Giusti, al quale sono profondamente legato. Senza di loro, questa vittoria non sarebbe stata possibile”.